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Colonnello Gabriele Ussani

Il 1860-61 segnò la catastrofe per il Regno del Sud. Molti Ufficiali borbonici, venendo meno al giuramento di fedeltà verso il parse e la corona, abbandonarono l’esercito borbonico, corrotti dalle promesse di denaro offerte dal re Vittorio Emanuele di Savoia e dal suo primo ministro Cavour.

L’operazione per il passaggio dall’esercito napoletano a quello sabaudo fu lunga e accurata. Ciò che muoveva l’animo dei “fratelli del Nord” non era certamente l’unificazione del paese, ma semplicemente il desiderio di appropriarsi dei beni di quello che, all’epoca, era il paese più ricco sotto ogni aspetto ed anche il più evoluto.

Se molti ufficiali passarono al nemico, tanti altri rimasero fedeli ad un ideale di libertà, fedeltà e coerenza verso scelte effettuate con il cuore ma anche dettate da tradizioni familiari. Di contro ai traditori, l’esercito fu leale fino all’ultimo sacrificando la propria vita per il re. Tra gli ufficiali rimasti fedeli alla nazione napoletana fino all’ultimo, ed oltre, vi fu il Colonnello Gabriele Ussani, splendida figura e meritevole di ogni considerazione. La sua famiglia di militari di prestigio, appartenenti ad una schiatta di coraggiosi e fedelissimi uomini del governo borbonico, non potè non influenzare i suoi comportamenti e la sua educazione militare, completata nel regio Collegio della Nunziatella, ancora oggi sito in Napoli. Suo padre era un colonnello di artiglieria che aveva combattuto contro i francesi nel 1798, nel 1806 e nel 1809. La madre, a sua volta, veniva da una nobile famiglia di militari di origine spagnola, i D’Escobar. Il di lei padre era un generale di fanteria. Con tali presupposti, come avrebbe potuto non seguire la tradizione familiare? Il suo stesso fratello maggiore Ferdinando si dedicò all’esercito divenendo per Gabriele un valido esempio.

Nel 1845 venne nominato I° tenente del reggimento regina. La sua carriera iniziò con l’assedio della cittadella di Messina tre anni dopo la sua nomina. Il suo valore ed i suoi meriti furono talmente grandi da meritare la “Croce di diritto di S. Giorgio”. Il suo impegno continuò nella successiva campagna di Sicilia ove, ancora una volta, il capitano si distinse per coraggio e abnegazione al dovere. La sua carriera fu rapida, nel 1852 fu nominato capitano ed ebbe diversi comandi.

Otto anni dopo venne nominato maggiore. Era il fatidico 1860 in cui, disgraziatamente, il regno del Sud fu invaso dalle orde garibaldine e poi da quelle Piemontesi, senza una dichiarazione di guerra. Per il suo esemplare comportamento, unito anche alle necessità della situazione, l’11 settembre 1860, venne promosso tenente colonnello dal Generale Ritucci e gli venne affidato il comando superiore delle batterie della divisione Afan de Rivera, che in seguito si distinse nella battaglia del Volturno nei pressi di S. Angelo. Il suo coraggio e la sua tenacia in tale operazione di guerra fu tale da fargli meritare la “Croce ufficiale di S. Giorgio”.  La situazione con il nemico si complicava sempre di più e la difesa dell’esercito borbonico non sempre era ben diretta dai comandanti. Mancavano armi adeguate a quelle moderne del nemico, spesso vergognosamente inviate dall’ambiguo Napoleone III. Gli ufficiali si impegnarono a combattere con i propri uomini improntando la costruzione di nuovi cannoni con il materiale bellico a disposizione nella fortezza di Gaeta, per lo più residuati dei precedenti assedi subiti nel passato, nel disperato tentativo di respingere i Sabaudi dal proprio territorio. Spesso l’indecisione degli alti vertici del comando e decisioni tardive peggiorarono la situazione. L’esercito avrebbe necessitato di elementi più giovani nel comando mettendo da parte i troppo anziani, poco lungimiranti, lasciando spazio ad una classe più energica e lungimirante come Ussani, per decisioni più appropriate e tempestive per quel momento storico, le quali avrebbero, forse, salvato il territorio. I generali erano tutti murattiani legati a tecniche di combattimento superate e a idee fuori dalla modernità degli eventi e poco organizzati per situazioni emergenziali.

Da buon artigliere quale era, il 29 ottobre 1860 l’Ussani riuscì a respingere i Piemontesi che tentavano di forzare la linea del Garigliano attraverso le batterie collocate in maniera ottimale provocando nel nemico feriti e grave danno. Encomiabile fu il suo comportamento il 4 novembre a Mola di Gaeta nel far posizionare e poi puntare personalmente 4 cannoni che diresse per 6 ore, onde contrastare i tiri che le navi piemontesi stavano dirigendo verso i borbonici. Per tale impresa venne ricompensato con la “Croce di S. Ferdinando” ed una promozione a colonnello.

La guerra stava volgendo al peggio. Francesco II° si era ritirato a Gaeta lasciando Napoli già dal 6 settembre con i suoi fedelissimi onde evitare bombardamenti alla capitale e per opporre una giusta e disperata resistenza contro l’invasore, con la speranza di tornare alla sua capitale quanto prima. Perfino la marina borbonica aveva defezionato passando in toto al nemico, tradendo vergognosamente per vile denaro. Il re, tuttavia, sperava in un intervento internazionale a suo favore, che però non si verificò. Gli imperatori di Austria e Prussia e lo Zar di Russia, riuniti in Polonia a Varsavia in congresso non riuscirono a trovare un accordo. La Spagna, presa dai suoi problemi interni, non si attivò.  Al contrario, la Francia e l’Inghilterra con il loro atteggiamento perfido fecero in modo di accelerare la disfatta del regno. Anche Gabriele Ussani si trovava sugli spalti di Gaeta a difendere, oltre alla monarchia, i propri valori. In Gaeta gli fu affidato il fronte di terra. Disgraziatamente la situazione peggiorava di giorno in giorno e si tenne dunque un incontro tra Francesco II° ed i suoi ufficiali a lui più vicini: Gen. Marulli, Gen. Del Bosco, direttore dell’artiglieria Afan de Rivera, Gen. Sanchez de Luna, Winsland de Mauer comandante truppe svizzere, Gen. Pelosi e Gabriele Ussani. La fortezza era allo stremo dopo mesi di accanita resistenza. Il fuoco dei nemici era feroce ed incessante. Si sarebbe dovuta decidere la capitolazione. Ussani e gli altri avrebbero voluto continuare a combattere, ma ormai senza speranza. La fine dell’epopea borbonica era giunta ed Ussani con dolore dovette arrendersi all’evidenza. Durante l’assedio ebbe modo di instaurare una bellissima amicizia con il principe Alfonso di Borbone, fratellastro di Francesco II°, figlio terzogenito di Ferdinando II° e Maria Teresa d’Asburgo, sua seconda moglie, il quale divenne il capo della real casa di Borbone dopo la morte di Francesco II°.  Amicizia che durerà tutta la vita e difatti fu nominato “Cavaliere di compagnia" del principe, che tenne in Roma una corte separata da quella di suo fratello Francesco, pur essendo a questi legato da profondo affetto, ma diverse vedute. Suo fratello Ferdinando divenne “Cavaliere di compagnia” dell’ex re. Nel momento della capitolazione di Gaeta il colonnello Ussani venne fatto prigioniero di guerra dai Piemontesi i quali, in un primo tempo, lo inviarono a Capri e poi a S.Maria. Era, secondo il nemico, la “giusta punizione” verso chi aveva servito con fedeltà e profondo affetto il proprio monarca. Liberato, finalmente, raggiunse Roma. La sua carriera militare non era però terminata. Insieme al principe Alfonso partecipò alla battaglia di Mentana nel 1867 ove Garibaldi e i suoi garibaldini vennero sconfitti dopo una vittoria effimera sui pontifici comandati dal Gen. Kanzler, da un corpo di spedizione francese inviato da Napoleone III° grazie, anche, ai nuovi fucili a retrocarica di nome “chassepots”.

Ancora una volta Ussani venne premiato. Il Papa gli conferì come onoreficenza “La Croce dell’Ordine Piano”. A tre anni dalla sconfitta di Mentana nel 1870 molte situazioni mutarono. Napoleone venne sconfitto a Sedan dall’esercito prussiano comandato da Won Moltke e preso prigioniero. Dall’impero si passò dunque alla repubblica. Sempre nel 1870 il 20 settembre le truppe italiane, comandate dal Gen. Raffaele Cadorna, entrarono in Roma e Pio IX°, l’ultimo “papa re” dovette lasciare il Quirinale per chiudersi in Vaticano. Tutti questi avvenimenti cambiarono la vita dei Borbone due Sicilie i quali decisero di lasciare Roma e palazzo Farnese per l’estero e con loro anche il Colonnello Gabriele Ussani, che seguì il principe Alfonso nel suo esilio.

La morte lo colse ancora giovane a soli 53 anni a Bautzen. La vita non è sempre generosa con gli eroi.

Maria Ornella Cristalli

 

P.S. Un ringraziamento va all’ultimo discendente non di Gabriele, ma di Ferdinando Ussani, Dott. Giuseppe, il quale con i suoi racconti ha collaborato alla stesura di questo articolo.