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Il ricordo del Comandante Giovanni Salemi

Giovanni Salemi

di Fernando Riccardi

È passato ormai qualche tempo da quando Giovanni Salemi, il nostro amato Comandante, ci ha lasciato per salire più in alto, nell’immensità del cielo. La sua dipartita ha provocato un vuoto incolmabile, anche se continuiamo a sentire viva e palpabile la sua presenza, i suoi consigli, i suoi incitamenti, le sue sollecitazioni e i suoi bonari rimproveri. Mi sembra ancora di ascoltare la sua voce imperiosa ma cortese dall’altro lato della cornetta che invita a darci da fare perché la “causa” ha bisogno di chi racconti la verità, smontando le colossali bugie di una vulgata storiografica troppo di parte e troppo faziosa. Ricordo ancora perfettamente la sua ultima telefonata, il giorno prima che passasse a miglior vita. Aveva iniziato a leggere il mio libro sul legittimista Klitsche de la Grange e ne era rimasto entusiasta. Anche perché, a pensarci bene, l’indomito colonnello prussiano, l’ultimo ad arrendersi tra gli ufficiali napoletani, incarnava alla perfezione l’ardore e gli ideali del nostro caro Comandante. Non a caso egli provava un’ammirazione incondizionata per il tenente colonnello Francesco Rosarroll, un anziano ufficiale che, pur da tempo collocato a riposo, nel settembre del 1860 indossò di nuovo l’uniforme e guidò a Capua una furiosa carica contro i reparti garibaldini, restando gravemente ferito. Per tale gesto eroico fu promosso tenente generale dal re Francesco e decorato con la Croce di San Ferdinando. Se ce ne fosse stato bisogno il nostro Comandante avrebbe sicuramente emulato le gesta di quel valoroso ufficiale, portando ben stretto tra le mani il candido e gigliato vessillo borbonico. Come ha fatto, del resto, per tutta la vita, instancabile nel girare l’Italia meridionale, dalle aspre terre di Abruzzo fino alla sua cara Sicilia, e nel cercare di spiegare, specialmente alle giovani generazioni, i torti e le ingiustizie che gli abitanti del Regno hanno dovuto subire a causa di una spietata occupazione militare che li ha lasciati senza neanche gli occhi per piangere. Era instancabile il nostro Comandante nel tentare di convincere anche i più riottosi che la storia vera non era quella che si trova nei libri, ma un’altra, ben diversa, tutta ancora da scrivere. Era di esempio a tutti noi che, pur molto più giovani, facevamo fatica a stargli dietro. “Com’è bella la nostra patria - era solito ripetere -. Peccato che non tutti la conoscano come dovrebbero. D’altro canto a scuola ci hanno fatto studiare soltanto gli affluenti del Po ed eccone le conseguenze”. E com’era contento, seduto lì, al tavolo dei relatori, quando poco prima di addormentarsi per sempre, ha gestito da par suo l’ennesima manifestazione di Capua, la sua creatura prediletta, per la quale tanto si è adoperato nel corso degli anni. Alla fine del convegno, stanco, terribilmente stanco, ma soddisfatto, mentre scendevamo insieme le scale per andare ad assistere all’esibizione dei ragazzi del Liceo Musicale, mi si è messo sotto braccio e mi ha detto con un filo di voce: “Adesso posso morire in pace. Dal prossimo anno dovrete pensarci voi”. Pochi giorni dopo il ferale accadimento. Sembra quasi che una forza sovrumana lo abbia tenuto in vita per consentirgli di partecipare alla sua kermesse, quella che tanto gli stava a cuore, dove ogni anno si ricorda la battaglia del Volturno e i soldati napoletani caduti combattendo contro i garibaldini. D’altro canto un Comandante di quella pasta e di quella tempra non poteva mancare. E così è stato. Compiuto fino in fondo il suo dovere di fedele soldato, si è congedato da questo mondo. Ma non dal ricordo di chi lo ha frequentato, lo ha stimato e gli ha voluto bene. Caro Comandante, ci manchi tanto e facciamo una tremenda fatica ad andare avanti lungo la strada che tu ci hai mostrato. Ci mancano le tue parole, i tuoi incoraggiamenti, i tuoi “ordini” che da capo saggio e avveduto sapevi impartire alla truppa. Ma, ciò malgrado, sia pure tra mille difficoltà, abbiamo deciso di andare avanti. Di seguire il tuo esempio, anche se non sarà per niente facile. Continueremo ad andare in “missione” nella nostra bella patria, cercando di spiegare a chi non la conosce la storia vera. Quella che non ci hanno mai raccontato. E lo faremo cercando di non deluderti e di essere all’altezza della situazione. Riposa in pace caro Comandante. E quando ci incontreremo di nuovo lassù, nelle immense praterie celesti, sii indulgente con noi poveri orfanelli. Forse non avremo fatto molto ma, per lo meno, ci abbiamo provato.